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Apuleio
Metamorfosi (l'asino d'oro), X, 16
 
originale
 
16. Sciscitatus denique, quid bonum rideret familia, cognito quod res erat, ipse quoque per idem prospiciens forarem delectatur eximie; ac dehinc risu ipse quoque latissimo adusque intestinorum dolorem redactum, iam patefacto cubiculo proxime consistens coram arbitratur. Nam et ego tandem ex aliqua parte mollius mihi renidentis fortunae contemplatum faciem, gaudio praesentium fiduciam mihi subministrante, nec tantillum commotus securus esitabam, quoad novitate spectaculi laetus dominus aedium duci me iussit, immo vero suis etiam ipse manibus ad triclinium perduxit mensaque posita omne genus edulium solidorum et inlibata fercula iussit adponi. At ergo quanquam iam bellule suffarcinatus, gratiosum commendatioremque me tamen ei fare cupiens esurienter exhibitas escas adpetebam. Nam et quid potissimum abhorreret asino excogitantes scrupulose ad explorandam mansuetudinem id offerebant mihi, carnes lasere infectas, altilia pipere inspersa, pisces exotico iure perfusos. Interim convivium summo risu personabat. Quidam denique praesentes scurrula: "Date? inquit "sodali huic quippiam meri." Quod dictum dominus secutus: "Non adeo" respondit "absurde iocatus es, furcifer; valde enim fleri potest, ut contubernalis noster poculum quoque mulsi libenter adpetat." Et "heus", ait " puer, lautum diligenter ecce illum aureum cantharum mulso contempera et offer parasito meo; simul, quod ei praebiberim, commoneto." Ingens exin oborta est epulonum exspectatio. Nec ulla tamen ego ratione conterritus, otiose ac satis genialiter contorta in modum linguae postrema labia grandissimum illum calicem uno haustum perduxi. Et clamor exsurgit consola voce cunctorum salute me prosequentium.
 
traduzione
 
Costui chiese cosa ci fosse di tanto bello da far ridere tutta la servit? e quando gli dissero di che si trattava, volle anch'egli guardare dal buco e si divert? moltissimo. Rideva a crepapelle fino ad aver male alla pancia e per osservar meglio la cosa apr? la porta della stanza e mi venne vicino. Da parte mia vedendo che finalmente la fortuna mi mostrava il suo volto propizio e incoraggiato dal buon umore di tutta quella gente, senza minimamente scompormi, continuai a mangiare, fin quando il padrone, divertito dalla stranezza di quello spettacolo, ordin? che mi si conducesse al palazzo, anzi fu lui stesso a portarmici, fino in sala da pranzo, e fatta imbandire la tavola volle che mi fossero portati cibi in quantit? e pietanze d'ogni specie non ancora toccate. Io, bench? fossi sazio, per rendermi simpatico, mi misi a trangugiare tutti i cibi che mi offrivano e cos?, quelli, tutti a pensare quali potevano essere le pietanze pi? ostiche per un asino e a mettermele davanti, per provare fino a che punto io fossi addomesticato: mi dettero carni alla senape, volatili cosparsi di pepe, pesci in salse piccanti, mentre tutta la sala rintronava di risate. ?Dateci del vino a questo amico,? se ne usc? uno dei presenti, in vena di far dello spirito. E il padrone, cogliendo a volo: ?Mica ? malvagia la tua idea, brigante che sei; forse forse il nostro amico se lo fa volentieri un bicchierino di quello dolce!? e rivolto a un servo: ?Ehi, tu ragazzo, pulisci bene quel calice d'oro, riempilo e offrilo al mio ospite, assicurandolo che io ho gi? bevuto alla sua salute.? Allora fra i convitati ci fu un momento di grande attesa. Ma io, per nulla preoccupato, tranquillamente e con grazia, sporsi il labbro inferiore come se fosse la lingua e vuotai tutto d'un fiato quel calice enorme. Si lev?, allora, un'ovazione e i presenti, a una voce, mi gridarono ?evviva?.
 

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